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Video, lusso e musica trap: come le mafie occupano i social network

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Presentata a Roma “Le mafie nell’era digitale”, ricerca della Fondazione Magna Grecia


AgenPress. Le attività dei mafiosi sui social network rendono “trasparenti” le organizzazioni criminali. Grazie a questa ricerca si è in grado pertanto di cogliere i processi di affiliazione e la cerchia del consenso, ricostruendo, attraverso i commenti, la rete di affiliati e simpatizzanti.

I ‘rampolli’ delle mafie assumono il ruolo di influencer, difendendo la reputazione del ‘brand’ mafia e allargando le relazioni attraverso la condivisione di contenuti multimediali performanti. Sostanzialmente, sui social network, si formano comunità di simili che sono la sovrapposizione delle esperienze offline con quelle online.

E’ quanto emerso dal primo rapporto dal titolo “Le mafie nell’era digitale”, prodotto dalla Fondazione Magna Grecia e presentato nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta nella sala conferenze dell’Associazione della Stampa estera a Roma e alla quale hanno partecipato, oltre a Esma Cakir, Presidente dell’Associazione stampa estera, il Presidente della Fondazione Magna Grecia Nino Foti, Antonio Nicaso, Docente alla Queen’s University e Componente del Comitato Scientifico della Fondazione Magna Grecia, il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia Maurizio Vallone e Marcello Ravveduto Docente di Digital public history all’Università di Salerno e Modena-Reggio Emilia.

“Il rapporto – ha spiegato Marcello Ravveduto, Responsabile Scientifico del progetto – è un focus mirato sull’immaginario digitale delle mafie; lo studio offre un’efficace base di dati di partenza, che ha permesso di monitorare le pratiche e gli “spostamenti” delle associazioni criminali nell’uso delle piattaforme virtuali.

Va sottolineato come la prassi di tali forme di presenza, nonché la produzione di significati orientati al sostegno e alla vicinanza a individui, non si sostanziano in riferimenti espliciti: si ricorre, frequentemente, a un codice non verbale, fondato, ad esempio, sullo scambio di segni grafici e di immagini dotati di pregnanza simbolica in grado di esibire stili di vita emulativi, quali l’ostentazione della ricchezza e dello sfarzo, accompagnate da canzoni a sfondo criminale legate al contesto di appartenenza”.

“Oggi, chi si occupa di cultura e del Mezzogiorno d’Italia, non può non guardare anche alle narrazioni di soggetti che, purtroppo, sono protagonisti nella produzione di contenuti, di simboli, di stereotipi correlati alle mafie, legati a doppio filo anche con la dimensione territoriale meridionale – ha spiegato il Presidente della Fondazione Magna Grecia, Nino Foti.

“Solo attraverso una conoscenza approfondita e strutturata di questi contesti – ha continuato Foti – è possibile costruire risposte improntate a una rinnovata e “attraente” narrazione della legalità, anche elaborando progetti di “reazione” che si radichino nella Cultura e nella capacità di produzione di contenuti, da parte della collettività, e soprattutto dei giovani, di “resistenza” a tali derive. Reazioni che vanno stimolate, e, laddove necessario, sostenute e alimentate, anche e soprattutto da chi, come noi, si occupa di tutelare e promuovere il patrimonio culturale immateriale e materiale, e, con esso, la crescita di cittadini innamorati della propria terra e della legalità, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia.”

Dello stesso avviso Antonio Nicaso, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Magna Grecia, che insieme al Prof. Francesco Mantovani, ha curato l’introduzione del Rapporto. «Le mafie sono sempre più ibride, flessibili nella loro capacità di agire online e offline. Sfruttano ogni opportunità offerta dalla tecnologia digitale in un mondo che, come aveva previsto Marshall McLuhan, ha ormai smarrito il suo carattere di infinitezza per assumere quello del villaggio globale.

Le mafie, oggi, potrebbero continuare a sussistere senza più necessariamente compiere azioni sanguinose, ma solo “ricordando a tutti di esserci e di poter ancora agire”. Un’idea condivisa anche dal Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Maurizio Vallone che ha tenuto a precisare come siano cambiate le attività delle organizzazioni criminali. “Tre decenni fa, ha commentato, la Mafia metteva le bombe per uccidere i magistrati e le loro scorte.

Oggi, invece, lavorano in tutt’altro modo: utilizzano i bitcoins come moneta di scambio per i traffici illeciti; utilizzano piattaforme criptate per le loro comunicazioni; ed infine, si muovono nel modo del metaverso, dove stanno installando attività imprenditoriali. Bisogna, per questi motivi, aggiornare gli investigatori perché non bastano più le intercettazioni, ma bisogna seguire i soldi sul web. Bisogna avere la capacità di seguire le monete digitali, attraverso la cooperazione internazionale, così da poter bloccare i riscatti che avvengono attraverso gli hacker”.

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